Intervista a Matt Dillon: «Non giudico mai i miei personaggi, scelgo i copioni»
L'attore americano ripercorre i momenti salienti di tutta la sua carriera e parla della pittura come di «una seconda professione». L'anno scorso ha esposto nella mostra dedicata ai 60 anni di The Who a Piacenza e incontrato alcune studentesse del Cassinari

Eleonora Bagarotti
May 13, 2025|24 giorni fa

Matt Dillon al Riviera International Film Festival © Libertà/Eleonora Bagarotti
In sottofondo, il rumore del mare. Matt Dillon vestito di nero s’infila tra le barche della Baia del Silenzio di Sestri Levante e incontra i giovani del Riviera International Film Festival. C’eravamo anche noi e si è concesso ai lettori di Libertà. «L’arte è come l’amore: per me è un mistero. Ho incontrato giovani che vogliono recitare, ma non riesco a capire il perché. Per me è stata una questione di curiosità. Alla fine sono un attore, recito e mi piace farlo».
E pensare che tutto è nato da un suo “fugone” scolastico...
«Un giorno non sono andato a scuola. Non ero uno studente particolarmente bravo, mi annoiavo e fugavo. Per strada venni notato da alcune signore che lavoravano a un casting. Mi hanno chiesto se volevo recitare in un film: “Giovani guerrieri” di Jonathan Kaplan (1979). Avevo 14 anni e dissi di sì».
«Un giorno non sono andato a scuola. Non ero uno studente particolarmente bravo, mi annoiavo e fugavo. Per strada venni notato da alcune signore che lavoravano a un casting. Mi hanno chiesto se volevo recitare in un film: “Giovani guerrieri” di Jonathan Kaplan (1979). Avevo 14 anni e dissi di sì».
Un segno del destino?
«A volte me lo chiedo. In realtà, il personaggio era giovane e ribelle, mi somigliava e potevo affrontarlo. Sin da quel momento ho capito che recitare era ciò che volevo fare. Ma non pensavo che avrei fatto questa carriera. Sono diventato attore dopo, studiando molto: Lee Strasberg e compagnia bella, anche quando ero già famoso... non ho ancora smesso di studiare! Per prima cosa leggo tutto il copione per intero, poi studio con un coach. L’ho fatto anche ultimamente, sul set di un film in Africa. Ma ero molto serio, sin da ragazzo, devo dire».
«A volte me lo chiedo. In realtà, il personaggio era giovane e ribelle, mi somigliava e potevo affrontarlo. Sin da quel momento ho capito che recitare era ciò che volevo fare. Ma non pensavo che avrei fatto questa carriera. Sono diventato attore dopo, studiando molto: Lee Strasberg e compagnia bella, anche quando ero già famoso... non ho ancora smesso di studiare! Per prima cosa leggo tutto il copione per intero, poi studio con un coach. L’ho fatto anche ultimamente, sul set di un film in Africa. Ma ero molto serio, sin da ragazzo, devo dire».
Quali erano i suoi riferimenti?
«Marlon Brando... l’ho pure interpretato. Il destino è una ruota che gira. Brando, James Dean, Montgomery Clift. Quelli erano i miei riferimenti da ragazzo».
«Marlon Brando... l’ho pure interpretato. Il destino è una ruota che gira. Brando, James Dean, Montgomery Clift. Quelli erano i miei riferimenti da ragazzo».
Nel film “Maria”, lei parla e si muove come Brando. Impressionante...
«Ho visto “Ultimo tango a Parigi” talmente tante volte che girare il film mi ha riportato a scene che sapevo a memoria, anche se è la storia della Schneider. Sono certo che lei abbia vissuto quel set con sofferenza, aveva già problemi personali prima di girare il film. Per me resta un capolavoro. Dobbiamo ripensare al 1972 e alla società del tempo. Bernardo Bertolucci e Marlon Brando lavoravano in un certo modo, Maria è stata emarginata. All’epoca il messaggio che si voleva dare era di un certo tipo. Ci sarebbe da aprire un lungo dibattito... Oggi si ragiona diversamente, ma io sono contro la censura. E allo stesso modo, sono contro la violenza sulle donne».
«Ho visto “Ultimo tango a Parigi” talmente tante volte che girare il film mi ha riportato a scene che sapevo a memoria, anche se è la storia della Schneider. Sono certo che lei abbia vissuto quel set con sofferenza, aveva già problemi personali prima di girare il film. Per me resta un capolavoro. Dobbiamo ripensare al 1972 e alla società del tempo. Bernardo Bertolucci e Marlon Brando lavoravano in un certo modo, Maria è stata emarginata. All’epoca il messaggio che si voleva dare era di un certo tipo. Ci sarebbe da aprire un lungo dibattito... Oggi si ragiona diversamente, ma io sono contro la censura. E allo stesso modo, sono contro la violenza sulle donne».