Inaugurata la mostra "Il Cavalier Malosso. Un artista cremonese alla corte dei Farnese" alla Cappella Ducale

Il percorso guidato dal curatore Antonio Iommelli, direttore dei Musei Civici di Palazzo Farnese

Eleonora Bagarotti
Eleonora Bagarotti
April 10, 2025|57 giorni fa
Una mostra piccola, ma raffinata, organizzata con Cremona e che rappresenta l’inizio di un percorso artistico più ampio tra Piacenza, Cremona e Parma. È stata inaugurata ieri, di fronte a invitati e autorità - la sindaca di Piacenza Katia Tarasconi e l’assessore alla cultura Christian Fiazza - la mostra “Il Cavalier Malosso. Un artista cremonese alla corte dei Farnese”, che apre al pubblico da oggi al 13 luglio nella Cappella Ducale di Palazzo Farnese.
Con la guida del direttore dei Musei Civici Antonio Iommelli (curatore con Stefano Macconi e Raffaella Poltronieri), gli invitati hanno percorso le tappe dell’esposizione (aperta da martedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18), che coinvolge anche una mostra al Museo Diocesano di Cremona, con un appuntamento speciale a Palazzo del Giardino di Parma, creando un arco lungo gli spostamenti e la produzione di Giovanni Battista Trotti, detto il Malosso, nato a Cremona nel 1555 e morto a Parma nel 1619.
Fulcro della mostra è la composizione originaria del Trittico Salazar, opera di grande valore storico. La prestigiosa pala d’altare, raffigurante l’Adorazione dei Pastori di proprietà della Banca di Piacenza, è affiancata dalle due ante laterali che rappresentano San Sebastiano e San Diego. Il direttore Iommelli si è soffermato sui suoi vari dettagli nella tappa conclusiva, oltre ad esprimere alcune opinioni legate alla volontà dei committenti e dell’artista stesso nel voler mostrare la propria bravura «dipingendo architetture sullo sfondo e una figura di schiena». È inoltre esposta una cornice vuota, a corredo dei due dipinti laterali. Nel catalogo - ha spiegato Iommelli - c’è attenzione nell’utilizzare la parola “artista”, e non “pittore”, che fa un lavoro legato alla corte e riesce a rendere vivi i progetti di una famiglia». E c’è un motivo legato alla scelta della Cappella Ducale perché «la critica attribuisce al Malosso i disegni di Palazzo Farnese, che si conservano a Parma e questa Cappella è attribuita al Caramosino, tra i confraterni che giudicarono il Malosso».
La visita alla mostra piacentina rappresenta l’inizio, prima di recarsi nelle altre chiese piacentine di riferimento, a Cremona e a Parma. «Il suo soggiorno farnesiano è diviso in due fasi - ha proseguito il curatore -. Il passaggio da Piacenza a Parma è significativo anche a livello di carriera: là, viene nominato Cavaliere e inizierà a produrre un genere profano. Nel secondo soggiorno piacentino, con presenze “spot”, viene a fare i famosi apparati effimeri e lascia opere incompiute. E se ne va dopo le critiche che riceve dalla confraternita di San Francesco».
La visita è iniziata da un dipinto del 1603, realizzato per una chiesa piacentina, in cui alla firma il Malosso aggiunge “il cremonese” «per sottolineare che proveniva dalla Bottega di Bernardino Gatti. Divide la parte terrena da quella celeste e in basso mostra di conoscere già i disegni di Palazzo Farnese, non ancora completato. Si scorgono anche Santa Maria di Campagna e Bobbio».
La seconda pala proviene da una chiesa distrutta di Piacenza, mostra «una Vergine con bambino e Sant’Antonio abate, che in epoca di carestie era una figura molto importante, e San Giovanni Evangelista che tiene il calice mentre il bambino sta reggendo il serpentello che simboleggia il veleno uscito dal calice, quindi il Santo è salvo, secondo la leggenda. I santi, con le loro storie, erano presenza costante nelle case - ha proseguito Iommelli -. Dietro la Madonna si scorge una macchia architettonica effimera, con rimandi precisi:Giuditta, sulla destra, forse un disegno pronto per un progetto poiché in Bottega non si buttava via nulla».
C’è poi un quadro di Gian Giacomo Pasini detto l’Usignolo, che - in tema di Bottega - «da Parma raggiunse il Malosso a Piacenza. Si tratta di una versione del dipinto in San Giovanni in Canale, con San Francesco al posto di San Diego e una luce guercinesca, ma lo diremmo oggi. Gli angioletti rimandano a Raffaello, e del resto sicuramente non si poteva non andare in San Sisto. Anche il volto di San Francesco sembra un po’ proto Guercino. Si cita anche Pordenone e tutti gli artisti che giravano a Piacenza».

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