Il lato oscuro di Alida Valli, musa anni Settanta del cinema italiano di genere
Da “Lisa e il diavolo” di Mario Bava agli incubi gotici di Dario Argento: la diva dei telefoni bianchi ha impreziosito molti film horror e thriller

Michele Borghi
May 14, 2025|24 giorni fa
Cinepop in trasferta, non era mai successo. Alla presentazione mantovana del film “Per il mio bene”, diretto da Mimmo Verdesca, si è parlato molto della nostra pagina e moltissimo di Alida Valli. Primo, perché il regista ospite in sala a Ostiglia ha raccontato la diva dei telefoni bianchi in un documentario del 2020.
Secondo, perché il compianto collezionista Mario Pecorari proprio nella terra dei Gonzaga aveva raccolto materiale da tutto il mondo su Alida, diventandone pure confidente. Un incrocio pazzesco, un’occasione troppo ghiotta per accendere i riflettori sul “lato oscuro” nella filmografia della Valli. Pecorari, nella sua foga da accumulatore seriale, non distingueva certo film di serie A, B o Z. Così, dal suo archivio, accanto ad Alida secondo Visconti, Alida diretta da Antonioni e Alida inquadrata da Bertolucci, spunta anche Alida musa di registi horror e thriller.

Un tuffo negli anni Settanta, stagione d’oro del cinema italiano di genere. Inebriato dal patrimonio di immagini, fotoromanzi e missive ora conservato a Revere - sulla sponda mantovana del Po - il regista Verdesca ha ceduto alle avances di Cinepop, accettando di stare al gioco e incorniciare Alida Valli in una desueta versione “scream queen”. Tenetevi forte, partiamo dal filone delle possessioni diaboliche: «Tra i lavori di Alida che preferisco di quell’epoca irripetibile c’è “L’anticristo” di Alberto De Martino. Oggi un cult, ma a lungo considerato copia carbone de “L’esorcista”. La Valli interpreta Irene, un ruolo non centrale, che però lascia il segno. De Martino d’altronde era un abile artigiano di Cinecittà e per quella pellicola ebbe a disposizione un cast straordinario. Protagonista è una superba Carla Gravina. Lei stessa mi ha raccontato che con Alida andarono d’amore e d’accordo sul set. C’erano scene tecnicamente impegnative, con effetti speciali spesso realizzati dal vivo davanti alla macchina da presa».

Il punto più alto nella filmografia horror di Alida, prima italiana a conquistare Hollywood, porta il sigillo del maestro Dario Argento: «Assieme hanno fatto “Suspiria” e “Inferno” e Alida si divertì parecchio. Dario mi confidò che l’attrice sempre riservata, a tratti scorbutica, sul set si accendeva appena indossati gli abiti di scena. Era nata per recitare, con una creatività inesauribile. Per Argento fu un privilegio dirigerla», prosegue Verdesca. E sottolinea: «Il piglio nazista di miss Tanner nell’accademia di ballo stregata e quel ghigno diabolico che non lascia presagire nulla di buono, erano tutta farina del sacco di Alida. Com’era accaduto con Clara Calamai in “Profondo rosso” e con Joan Bennett nello stesso “Suspiria”, Argento ha fatto una scelta di casting che è un omaggio a mitiche attrici del passato».
La Valli ha incrociato due volte anche l’altro papà del giallo all’italiana: Mario Bava. Nel 1973 come regista de “Lisa e il diavolo” (rieditato nella versione rimontata “La casa dell’esorcismo”) e nel 1980 in veste di consulente per gli effetti speciali sul set di “Inferno”.

«Di quel decennio sospeso tra cinema autoriale (“Novecento” di Bertolucci è del 1976, ndr) e film di genere, “Inferno” è tra i miei titoli preferiti - prosegue Verdesca - mentre consiglio di recuperare il doppio Bava. Fondamentale pure “Occhi senza volto” di Georges Franju, anche se torniamo indietro nel tempo, fino al 1960, quando l’attrice inizia a flirtare con atmosfere più dark»

Il racconto appassionato e puntuale di Verdesca conferma come molti attori e attrici di richiamo accettassero ruoli “minori”, sull’onda della vivacità del mercato italiano. Il cinema di genere era un’industria florida e Alida riesce a distinguersi persino in produzioni exploitation: «Quei film andavano di moda e funzionavano all’estero. Alida, da vera attrice moderna, era pronta ad esperienze diverse da quelle che ci si aspetta da un’interprete impegnata. Di sicuro lei non temeva di sperimentare e soprattutto di mettersi in gioco. Abbracciava i progetti che più la divertivano».
Magari recitando accanto al primogenito Carlo De Mejo, lui sì attore icona del cinema di genere (pensiamo agli incubi gore di Lucio Fulci). Carlo e Alida a tu per tu - come accade in “Porco mondo” - il figlio da protagonista, la madre per un cameo e mai il contrario. L’icona di bellezza diventa megera: «Eppure la luce del suo volto rimane immutata, nessun problema a trasformarsi quando si tratta di giocare - osserva Verdesca -. Dalla contessa Serpieri di “Senso” allo sguardo diabolico di “Occhi senza volto” sono trascorsi appena sei anni, qui non c’entra il tempo che passa. Questo è innato talento».
