Quando Pellizza da Volpedo dipinse tre opere al Penice

Il "padre" del celebre Quarto Stato nel 1904 raggiunse la vetta del monte di Bobbio. Gianni Agnelli pronto ad ogni cifra pur di avere la celebre "Automobile"

Elisa Malacalza
Elisa Malacalza
May 3, 2025|33 giorni fa
"Ricovero numero 2", opera di Pellizza da Volpedo. Al passo Penice la casa cantoniera, che era anche osteria, e la villa che sarebbe diventata del giornalista Italo Pietra
"Ricovero numero 2", opera di Pellizza da Volpedo. Al passo Penice la casa cantoniera, che era anche osteria, e la villa che sarebbe diventata del giornalista Italo Pietra
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È il 1904, è estate, l’anno in Italia del primo sciopero generale della storia sindacale d’Europa. Giuseppe Pellizza da Volpedo, criticato anche da quei «ciechi» che considerava amici alla Quadriennale di Torino, si rifugia nell’idillio, nel paesaggio, nella solitudine. Più lontano che può: è al Penice, si spinge fino ai Sassi Neri di Bobbio, mangia in un’osteria. Prima del viaggio, ha chiesto al suo sindaco, quello di Volpedo, in Piemonte, la possibilità di avere il porto d’armi, perché queste sono «terre remote», per lui che non le ha mai viste e vuole stare solo, a dipingere, a pensare. A capire un mondo che inizia ad andare sempre più veloce.
Ha già concluso da tre anni il suo monumento alla lotta, alla dignità e alla sofferenza di una classe che non andrà mai in paradiso, il Quarto Stato: e lui, morto suicida di dolore, non saprà mai che il Primo Maggio anche di quest’anno, dopo oltre un secolo, la sua grande tela di quasi tre metri per sei sarà tra le più postate sui social. Un’icona, per i lavoratori di ieri e di oggi: migliaia e migliaia di like su Facebook e lo sguardo addosso ogni anno di migliaia di visitatori al Museo del Novecento a Milano, dove la si può ammirare gratuitamente, come i simboli che devono appartenere a tutti.
Pellizza, tre anni dopo quell’estate al Penice, nel 1907, non ebbe più neppure gli occhi per piangere la morte del terzogenito Pietro e della moglie Teresa: nello studio di Volpedo, si tolse la vita, impiccandosi. Non aveva nemmeno quarant’anni, ma per lui non era più estate.
Ha fatto in tempo a lasciarci lo scenario perfetto per Novecento di Bernardo Bertolucci e la certezza di non essere poi così soli, ogni volta che diventiamo una «fiumana» per chiedere il diritto all’uguaglianza, al lavoro. Ma soprattutto, in quell’estate del 1904, ha fatto in tempo a raccontarci com’era il monte Penice di Colombano, di Maria e di Leonardo: tre opere, uniche, «Ricovero numero 2» (la casa cantoniera al passo, che era anche l’osteria gestita da Domenico Rocchi, accanto alla villa del marchese Fulcioni poi acquistata dalla famiglia Pietra), «Sassi neri del Penice», «L’automobile», corteggiata a lungo dall’avvocato Gianni Agnelli che si dice fosse pronto a sborsare qualsiasi cifra pur di avere dal giornalista partigiano Italo Pietra, proprietario, quel primo tentativo di raffigurare la velocità «più bella della Nike di Samotracia», il valore tutto nuovo che sarebbe stato del Futurismo, nel manifesto del 1911.
Un’opera premonitrice, per tanti, in quel mezzo che sbuffa a matita. A ricordare queste opere, negli anni, sono stati soprattutto gli instancabili Pierluigi Pernigotti, che dirige il gioiello museale dedicato all’autore a Volpedo, i professori e studiosi Ettore Cau e Aurora Scotti, ma anche Bruno Taverna, figlio di Carlo, nome di battaglia Nitzi, che, morto nel 2023 a oltre cento anni, sognò fino all’ultimo un grande Penice, innamorandosi di ogni suo sasso.
«Le tre opere di Pellizza da Volpedo dipinte al Penice fanno parte di collezioni private, ma saranno esposte a Volpedo nei fine settimana dal 6 settembre al 5 ottobre. Abbiamo inoltre affidato all’amico Taverna ogni informazione per poter costruire un percorso, un ricordo, anche al Penice», precisa Pernigotti. Con Cau, già alcuni anni fa ad Alessandria sono stati organizzati momenti di confronto e dibattito, nel tentativo di sciogliere anche i dubbi relativi alla datazione dell’Automobile sul sentiero verso la vetta: Pernigotti ha identificato nei monti dal Ragola al Penna le cime che si vedono dalla vetta del nostro monte, «al tempo spoglio, non c’erano alberi, vennero piantati nella forestazione voluta dal fascismo, negli anni Trenta».
Cau ha più volte ricordato come vi furono anche proteste dei proprietari dei pascoli: ma il duce voleva una piccola Alto Adige, piantando alberi non autoctoni. Cau si è rivolto anche agli esperti paleografi di Treviso, per capire quelle scritte visibili solo con una lente d’ingrandimento: «Fiammante staccante forte sui monti già fortemente arrossati dal tramonto», si legge. Il paesaggio venne "ritratto" nel 1904; due anni dopo, l’auto. Era già il Futurismo. E il mondo era così: si camminava al Penice "remoto", agli inizi del Novecento, e si poteva incrociare Pellizza da Volpedo in cerca di un idillio sociale e valoriale che non avrebbe mai trovato per sé, ma per il Quarto Stato sì. Anche fosse stata solo un’utopia. 
"L'Automobile". Pellizza da Volpedo dipinse nel 1904 la strada - al tempo sentiero - che portava alla vetta del Penice. Sullo sfondo, lo skyline dei monti è lo stesso di oggi. L'automobile che "sbuffa", come in movimento, già in clima futurista, venne aggiunta nel 1906 secondo quanto emerso dai recenti studi del professor Ettore Cau
"L'Automobile". Pellizza da Volpedo dipinse nel 1904 la strada - al tempo sentiero - che portava alla vetta del Penice. Sullo sfondo, lo skyline dei monti è lo stesso di oggi. L'automobile che "sbuffa", come in movimento, già in clima futurista, venne aggiunta nel 1906 secondo quanto emerso dai recenti studi del professor Ettore Cau
"I sassi neri". Chi percorre la strada può vederli ancora oggi, lungo la Statale in direzione Penice. Qui si trovava la casa cantoniera (ricovero numero 1), oggi restaurata e diventata casa di villeggiatura priva
"I sassi neri". Chi percorre la strada può vederli ancora oggi, lungo la Statale in direzione Penice. Qui si trovava la casa cantoniera (ricovero numero 1), oggi restaurata e diventata casa di villeggiatura priva
Cartolina dei Sassi neri nel 1915. La cartolina fa parte della documentazione degli studi di Pierluigi Pernigotti, direttore dei Musei di Volpedo
Cartolina dei Sassi neri nel 1915. La cartolina fa parte della documentazione degli studi di Pierluigi Pernigotti, direttore dei Musei di Volpedo
Il passo Penice in una cartolina del 1915. Evidente la somiglianza netta nel paesaggio dipinto da Pellizza da Volpedo dieci anni prima
Il passo Penice in una cartolina del 1915. Evidente la somiglianza netta nel paesaggio dipinto da Pellizza da Volpedo dieci anni prima
Il Quarto Stato, diventato manifesto-simbolo della lotta di contadini e operai per i diritti civili. Ci vollero almeno 6 anni per terminarlo nel 1901. Pellizza da Volpedo si tolse la vita nel 1907, impiccandosi nel suo studio a Volpedo
Il Quarto Stato, diventato manifesto-simbolo della lotta di contadini e operai per i diritti civili. Ci vollero almeno 6 anni per terminarlo nel 1901. Pellizza da Volpedo si tolse la vita nel 1907, impiccandosi nel suo studio a Volpedo

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