Liberazione, i 68 cippi e le generazioni cancellate
Ottant'anni dopo la fine della guerra la provincia di Piacenza conta 10 cimiteri partigiani. Tra le lapidi storie di morti atroci

Elisa Malacalza
April 25, 2025|43 giorni fa

La lapide su una casa di Niviano Chiesa dove fu ucciso Cesare Ansaldi
Era il grazie per quei venti mesi di "duro servaggio" in cui nacque l’Italia, i venti mesi più atroci, in cui quasi ogni famiglia sentì il cuore fermarsi almeno una volta, senza più un figlio a casa, a tavola, ad abbracciare la mamma. Era un onore, un nodo in gola: per appuntare la medaglia d’Oro sul gonfalone piacentino venne a Piacenza il 9 ottobre 1996 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Una medaglia che ebbe un prezzo altissimo: fatto di uomini, di donne, di feriti, di morti, di torturati, di deportati. E di violentate.
La Resistenza nel Piacentino arruolò 8.252 persone (fonte Carlo Cerri), ma i piacentini parteciparono anche alle formazioni partigiane all’estero (245 effettivi) e poterono a loro volta contare sui nostri monti sull’aiuto di 295 partigiani stranieri. In un suo saggio, Carmen Artocchini contò inoltre 194 partigiane, 164 patriote, 75 benemerite, 13 cadute, altre fucilate, come Maria Macellari di Bobbio o Livia Gandolfi di Castellarquato, il cui corpo, crivellato, venne abbandonato per sfregio ultimo nella neve.
Oggi si sfila per tutti loro e per le medaglie d’oro: Alberto "Paolo" Araldi, Giannino Bosi "Battisti", Alfonso Cigala Fulgosi, Luigi Lusignani, Ettore Rosso, Giacomo Crollalanza, Romolo Fugazza, Ferrante Gonzaga del Vodice, Manfredo Bertini. Si sfila per i sacerdoti che diedero assistenza religiosa, sia ai partigiani che ai prigionieri, gente come Ugo Civardi, Giuseppe Beotti, Francesco Del Nevo, Alessandro Sozzi, Umberto Bracchi, Giuseppe Borea. Piacenza, terra di patrioti, di sacrifici, di sangue, di sudore, di "no" a chi dell’Italia se ne fregava per darla in pasto ai tedeschi di Hitler: in dieci paesi vi sono cimiteri partigiani, tante furono le vittime. Si trovano ad Alseno, a Bettola, a Caorso, a Castellarquato, a Fiorenzuola, a Monticelli, a Piacenza, a Pontenure, a Rottofreno, a San Giorgio. Piacenza, Pontenure, Caorso, Monticelli, Bettola hanno anche l’onore della medaglia per il merito nella guerra di Liberazione.
Lo ha detto Piero Calamandrei, "ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, lì è nata la nostra Costituzione": e allora vogliamo oggi più che mai che il "marmo" della Resistenza piacentina non sia gelido, ma sia insegnamento eterno, voce viva: per questo si può entrare al cimitero partigiano di Castelnuovo Fogliani e fissare la storia di Ottavia Villa, "prodigandosi per la libertà d’Italia barbaramente uccisa raggiungeva in cielo il fratello Albino". O si può raggiungere in silenzio il rio Farnese e pensare a quella bottiglia di grappa vuota che venne trovata dopo la strage di 40 partigiani per mano della P38 delle SS: il nazista aveva bevuto per farsi coraggio nella mattanza. Si può arrivare al cimitero di Bettola e farsi incidere nella memoria le numerose tombe con la scritta "ignoto" - nessuno ha mai saputo i loro nomi - o pensare a quei dispersi mai tornati, Scarpetta, Perazzi, Calegari, Ferri.
Vicino al ponte sul rio Camia, riposa Renato Ghittoni, tratto in inganno dai nazifascisti che sventolarono bandiera bianca per attirarlo a loro. La sua salma crivellata di ferite venne impiccata ad un albero, dopo le torture. O ancora fa venire i brividi passare davanti all’ex casa della tortura di San Giuliano, a Castelvetro: per far confessare i prigionieri venivano usati calci, fuoco, scudisciate col nervo di bue. Il partigiano Luigi Villa di Caorso fu legato - la sua colpa: essere clericale - a un’inferriata, crocifisso dal tenente Lombardo, flagellato come Cristo.
Si può camminare lungo il viale che conduce al cimitero di Rustigazzo, o arrivare al cimitero di Morfasso dove si ricordano anche i deportati in Germania, come Benvenuto Carini; e sulla lapide fissata sul retro della casa comunale di Nibbiano una scritta incisa nella pietra non fa sconti. "Contro questo muro sono stati fucilati dai tedeschi i partigiani". Ci sono i sacrari, oggi, da visitare: Peli, Strà, Aie. Ci sono "bambini" da ricordare, fino a Ottone: Silvio Molinelli e Giannino Nobile sono stati massacrati e gettati dal ponte nel Trebbia nel ‘44. Alfredo Borotti, ricordato nella lapide alla Camera di Commercio, era mutilato del braccio sinistro: non ebbero pietà di lui, fu fucilato per rappresaglia. Nel palazzo di via Cavour a Piacenza c’era la sede delle SS tedesche: c’è stato chi ha giurato fino alla morte di aver sentito gridare, lì dentro. Sul cippo a Monteventano, una frase, è di Salvatore Quasimodo, "Di questi uomini non resti mai povera l’Italia". Sono 68 i nostri cippi, le nostre croci: è la Pasqua di una terra medaglia d’Oro.
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